Ai lettori

Non v’ha dubbio, il benigno lettore si sarà aspettato anche questa volta il solito augurio della penna di Don Mentore, nostra vecchia conoscenza, ed il relativo articolo di prima fila scritto alla buona e col cuore in mano come sapeva far lui. Ma quest’anno restiamo delusi! Don Mentore non è più; è un suo erede che ce ne dà la non grata notizia, ed in pari tempo ci manda alcune carte sparse dove saltuariamente sono segnati alcuni capitoli che di certo erano preparati per l’Almanacco. Noi, in mancanza di altro, ed ancora in memoria del vecchio amico, metteremo al primo posto queste ultime memorie che intitoleremo il Testamento di Don Mentore, e mentre preghiamo pace a Lui, auguriamo a tutti i 5000 lettori ed alle poche lettrici l’anno di grazia 1898 prospero e felice ed una vita ben più lunga e fortunata di quella del povero Don Mentore.

LA REDAZIONE

Testamento di Don Mentore

Capitolo I

Non v’è peggior sordo di chi non vuol intendere

Sta bene; anzi è necessario ripetere certe cose ad ogni piè sospinto, perché vi sono al mondo certi sordi artificiali, che non vogliono udire dalla nostra bocca certe verità, delle quali essi soli pretendono il monopolio. Voi, o lettori umanissimi, aveste la bontà di leggere e rileggere per anni parecchi le povere mie parole ed ammonimenti che veniva presentandovi sull’Almanacco, e come ero persuaso io, lo eravate voi tutti, erano desse inspirate a’ quei sani principii che abbiamo succhiato col latte materno attorno ai nostri domestici focolari, e nelle nostre scuole, in una parola era il nostro bel catechismo messo alla pratica in tutte le moderne istituzioni che per il progresso del tempo venivamo piantando a tutto e solo vantaggio del nostro popolo. Voi siete buoni testimoni che il perno su cui tutto si basava era il timore di Dio, principio di sapienza e di ogni buona opera. In tutto il nostro scrivere ed operare era chiaro che volevamo mettere in pratica, ossia manifestare quelle opere colla fede, che tutti fino dalle fasce ereditammo dai padri nostri e nella quale fummo educati. Noi, non essendo necessario di più, ci limitammo a questo punto essenziale di nostra religione e su questo fino alla nausea abbiamo insistito. Su questa base abbiamo cominciato a scrivere, a lavorare, e coll’aiuto di Dio le nostre parole non restarono una predica al deserto, ma furono seguite da tali opere, così opportune, così proficue, così generalizzate nel nostro popolo trentino, da parere un miracolo. Solamente sei anni fa, non c’era nulla del movimento cooperativo rurale, ora la nostra amata terra è tempestata di tali istituzioni come il cielo sereno di tante fulgide stelle. Quale fu la causa felice di tanti begli effetti? Non v’ha dubbio, la base posta da noi a tali edifici, il timor di Dio. Eppure, vi sono ora uomini nel mondo che si ostinano a negare questa verità, e lo fanno, non già perché sieno nemici di Dio o della religione, dioninguardi, ma non si sa il perché, o meglio si sa anche troppo, cioè per pura gelosia. Vedendo tutta questa roba che allaga ora il Trentino sotto forma di Casse rurali, Famiglie cooperative, Federazione, Banco di S. Vigilio e non essendo in loro mani per cristallizzarla a modo proprio, se ne accuorano, e volendo giustificare il loro mal procedere, vi accennano a basi false, a neutralità, a cose senza nome, promovendo poi essi altri modi che chiamano il non plus ultra della perfezione, tanto sono umili nei loro propositi. Che cosa possiamo noi dire di tutto ciò? Niente altro che ripetere ai nostri amici quello che loro abbiamo inculcato sempre. Non badate a costoro, che sotto l’idea della perfezione, vi nascondono fini egoisti ed esclusivi; noi ci siamo uniti nel cemento della carità, sulla base della fede nostra avita e che non rinnegheremo mai, e come su questa via abbiamo incominciato, così siamo perseveranti usque in finem. Come vedete io sono vecchio, e presto dovrò presentarmi al tribunale di Dio per rendere ragione del mio operare. Non sento in questi momenti rimprovero di coscienza di avere operato per voi, miei cari, in quel modo che ho fatto fin quì. Fu un agire per puro vostro amore, senza fini secondari, anzi senza aspirare neppure a ricevere guiderdoni su questa terra, perché sapeva che il nostro buon Dio me li avrebbe dati oltre tomba. Anche l’amarezza che vogliono arrecarmi questi nostri fratelli della perfezione formerà un gradino di più bel paradiso; perdoniamo loro e tutti saldi nella via sì bellamente cominciata. Se i sordi non vogliono intendere, non sappiamo che farci; voi c’intendete, ci avete intesi, e basta a nostra consolazione.

Capitolo II

La Federazione

E’ da più di un anno che venne instituita legalmente la nostra Federazione delle Casse rurali e dei Sodalizi cooperativi del Trentino, e non pochi, se non molti, furono i vantaggi che ne vennero alle nostre opere. La Federazione, come v’è noto, è chiamata anzitutto a tener unite le sparse sorelle nelle singole vallate ad un centro unico, non solo, ma suo scopo originale è d’invigilare acché la società federata viva e prosperi e procuri tutto quel vantaggio nel paese in cui venne eretta, quale si aspettavano i suoi fondatori.

Lo statuto, su cui poggia ogni singola società, è il medesimo e, se questo si osserverà appuntino, non vi è da immaginarsi nissun pericolo della medesima. Finché sussistono i primi fondatori di una società, sempre animati dall’unico scopo del pubblico bene, non c’è pericolo che nè lo statuto non venga osservato, nè che detto pubblico bene soffra in qualche punto. Ma non sempre i fondatori di una società possono durare tanti anni, sia perché non hanno il dono dell’immortalità, sia per tanti altri motivi facili a sopravvenire. Ora un’ importanza di sommo grado si è quella di trovare nelle nuove direzioni e nelle commissioni di sorveglianza, sempre uomini simili ai primi per giustizia, rettitudine, disinteresse, ed amore del bene comune. Uomini che vogliono il bene della società, dimenticando il ben proprio individuale, e qualsiasi altro fine secondario.

La Federazione è chiamata proprio ad invigilare su questo punto essenziale. Quando essa manda il suo revisore a visitare la società, suo primo passo si è di farsi un giusto criterio sugli uomini che reggono la società. Se costoro si presentano tutti d’un pezzo animati dal pubblico bene, a bella prima riuscirà facile anche la revisione che dovrà fare sull’azienda sociale, perché vi troverà tutto in ordine e se per accidente vi trovasse qualche errore o sbaglio, sarà tutta cosa accidentale, ma non dolosa. Mentre invece se il revisore al suo primo arrivo trova che membri della Direzione, eventualmente nella commissione di sorveglianza, non sono tutti animati da spirito di pubblico bene, avrà cura di stare attento nell’esame dell’azienda perché di certo vi troverà in un punto o l’altro o qualche errore o qualche gherminella amministrativa che dovrà correggere, dovrà far pubblica ai soci, e solo potrà mettere in ordine la società quando siansi chiamati a responsabilità i rei, e fatto repulisti delle loro persone da ulteriore incombenza sociale.

Il revisore che manda la Federazione è animato da questo principio di aiutare efficacemente la società, la cui gestione è incaricato di esaminare, suggerendole tutti quei modi ch’egli trova ad ogni singolo caso adatti. Ove poi trova ch’essa ha bisogno di una nuova Direzione, o di una riforma della medesima, quivi deve mostrarsi di un’ energia che non ammette mezze misure. Ultimata la revisione, egli deve convocare l’assemblea generale, previo consenso della Federazione, ed ai soci deve dire chiaro e tondo che se essi non mettono alla testa della società persone amanti del pubblico bene, e capaci di sacrificarsi intieramente per la medesima, la società non può progredire, anzi addirittura viene segnata come degna di essere esclusa dalla Federazione.

La Federazione, dove trova società alla cui testa stanno persone così bene intenzionate, farà di tutto per sostenerle, aiutarle, e salvarle da qualsivoglia pericolo; dove mancassero tali membri, ed ove fosse impossibile sostituirli, essa abbandonerà a sé tale instituzione e non avrà contatti di sorta. Questo è il primo scopo ed il più efficace a cui è chiamata la Federazione. Ella non viene né per comandare alle società confederate, né per imporsi con dominio assoluto, né per centralizzare in un punto solo tutte le istituzioni perché diventino tante macchine ai suoi cenni in ogni divergenza, ma viene a tutelare la vita autonoma delle singole società, col far loro rigorosamente osservare lo statuto, e col fare stare in tutto punto le rispettive direzioni. Di fronte a questa provvida mansione della Federazione, ogni società deve star tranquilla non solo, ma fidarsi a tutta tranquillità nell’opera  provvidenziale della medesima e ad essa ricorrere in ogni evenienza che potesse accaderle su questo punto.

Ma la Federazione non si contenta di ciò, va più oltre colla sua opera salutare in pro delle società confederate. Bisogna notare che la Federazione nulla fa per sé stessa e per proprio vantaggio; tutto il suo lavoro, tutta la sua azienda, è in pro delle istituzioni unite a lei. Ella si presta sempre e prontamente a dare istruzioni, informazioni sopra ogni punto che le fossero chieste; anzi ella ormai è a tal punto, che è in caso di provvedere anche i singoli articoli o quelle merci qualsisiano che le società volessero col suo mezzo procacciarsi. Anzi la Federazione a mezzo delle relazioni incontrate coi diversi centri di produzione e con case sicure, ha già fatto più volte degli acquisti cumulativi di grande importanza e con grande vantaggio delle società che si fidarono di lei.

Questa confidenza ch’ebbero tante società confederate, dovrebbero averla tutte, e già per tempo ricorrere a lei per la provvista di generi di qualche importanza. Ogni mese dovrebbe venire alla Federazione un elenco antecipato delle merci occorribili per ogni società, e solo così ella potrebbe farne un elenco generale e relativo acquisto, e poi fattane provvista, distribuirle giusta la fatta insinuazione. Ognuno capisce quanto sarebbe il vantaggio che ne verrebbe agli acquirenti e come ne guadagnerebbero assai i soci delle singole società. Se dall’acquisto cumulativo si venisse a risparmiare la sola spesa della condotta dalla città alle vallate, ecco quanto bell’utile ne deriverebbe.

Altro vantaggio hanno le società confederate col ricorrere alla Federazione in ogni questione che potessero avere colle autorità di qualsiasi categoria. La Federazione è alla portata a mezzo delle persone che fanno parte della Presidenza di rivolgersi tosto e personalmente od in altri modi efficaci alle autorità che credesse del caso, e come avvenne in passato, così in avvenire spera di risolvere le eventuali questioni a tutto vantaggio delle società che fanno capo a lei.

Abbiamo voluto accennare a queste poche cose per animare sempre più le nostre società a gettarsi con confidenza nelle braccia materne della Federazione. Come ognuno vede, essa non può e non vuole giusta il suo statuto imporsi alle società per formare un centro che tutto unisca in vantaggio del centro stesso, ma anzi esso è un centro appositamente fatto per struggersi in vantaggio di chi sa e vuole usarne: è proprio come un cuore generoso che tutto il sangue che affluisce nei suoi vasi non fa che gettarlo ad ondate frequenti e continue a mezzo delle arterie, cioè le società, nelle parti più remote del corpo federale, che sono i nostri soci carissimi sparsi sopra tutta la grande estensione delle nostre valli Trentine. – Don Mentore muore tranquillo con questa speranza che lo consola in questi ultimi giorni, cioè nel vedere la Federazione divenire il faro che illumina, la fontana che irriga, il fuoco che riscalda, il cibo che nutre tutte le società che attorno a Lei si andarono raggruppando al motto di carità vicendevole – uno per tutti e tutti per uno.

Capitolo III

Il Banco di San Vigilio

Ancora una cosa mancava a Don Mentore, ed ancora questa desiderava vedere pria di cantare il Nunc dimittis: era il Banco di S. Vigilio, ossia la Cassa Centrale. Ma grazie a Dio siamo arrivati anche a questo, e l’anno di grazia 1898 sarà il primo anno di attività del medesimo; gli statuti sono formalmente elaborati e quanto prima legalmente inscritti e nominata la prima presidenza. Due parole anche su questo punto, forse il più importante, non faranno male ai nostri amici. Che cosa è dunque il nostro Banco di S. Vigilio o la Cassa Centrale? E’, niente più niente meno, quello che hanno le altre provincie austriache progredite nella cooperazione pria di noi, e quale hanno pure i nostri fratelli di Innsbruck.

Scopo della Cassa centrale è sempre il solito: quello, non di impinguare sé stessa, ma di aiutare quelli che ad essa ricorrono. Quindi ella è fatta a tutto esclusivo vantaggio dei propri soci che sono quelle società che faranno parte della medesima.

La Cassa centrale ha due intenti: Primo, quello di accogliere i denari che restassero inerti in tutte le Casse rurali che ne avessero in abbondanza, ed adoperarli con frutto, prima in paese, e se non fosse possibile, fuori anche dello stesso, restando sempre sicuro il capitale. Secondo scopo si è quello di dare il denaro necessario alla loro attività a quelle Casse o Famiglie che ne difettassero. Dunque anche il Banco di S. Vigilio è come una madre che con una mano riceve il più da chi lo ha, e coll’altra lo dà a chi ne abbisogna.

In tutta questa azienda delicatissima ed importante occorrono e persone fidate, e registrazioni rigorose ed a tutto questo devono pensare e ci penseranno coloro che sono primi chiamati alla fondazione di questa provvida istituzione. Se Don Mentore in questa faccenda poco potrà fare perché al momento massimo della attività del Banco, Iddio lo avrà tolto in gloria, pure egli si consola nel pensare che non mancano i suoi numerosi e generosi amici che lo suppliscano davvantaggio in questa bisogna, e lo assicurino che la cosa riuscirà e riuscirà a meraviglia. Solamente quando avremo in piena vita il nostro Banco potremo dire d’aver messo il termine al nostro bell’edificio cooperativo, giacché con questo si viene a riempiere tutte le lacune, a coronare tutte le opere fatte fino qui. – Colla Cassa centrale si potranno facilitare ogni sorta di pagamenti ed incassi. Quando una società ha da soddisfare un impegno presso qualche grossista, ecco la Cassa centrale che lo fa a nome della società associata e con prontezza e colla minor spesa possibile. Ha la società da incassare o realizzare importi e non ne conosce il modo, o non ha la comodità o la facilità, ecco subito la Cassa centrale che entra al suo posto, le fa l’affare appuntino, e colle minori spese possibili.

Anche la Federazione fino a qui si prestava in simili cose, procurando di mettere a frutto dei denari che stavano infruttiferi in qualche cassa rurale, e d’altra parte col procurare il denaro necessario a qualche Cassa o Famiglia cooperativa che ne avesse avuto di bisogno, ma fu un affare di sovrappiù o che non stava nella stretta sfera di sua attribuzione; invece in buon punto verrà il nostro Banco ad assumere tutta l’azienda pecuniaria delle nostre società e, se i pronostici non fallano, la cosa deve riuscire con piena soddisfazione. Don Mentore pria di chiudere gli occhi e di scendere nella tomba fa appello a tutte le casse rurali trentine, affinché nissuna eccettuata s’associno alla Cassa centrale, senza paventare o la grossa quota sociale, od altri pericoli. L’organismo delle istituzioni da noi iniziate è sempre animato dal nostro spirito di generosità e di sacrificio in pro del popolo; nissun interesse personale, nissun fine secondario, fuori del pubblico bene, sta nascosto sotto le chiare parole dei nostri statuti. Noi non facciamo né politica, né propaganda di combattimento o di lotta in tutto questo nostro movimento cooperativo; noi raccogliamo gli uomini trentini di buona volontà, li uniamo agli scopi segnati in statuto, e li sosteniamo a realizzarli nel miglior modo possibile. Con questo nostro procedere tutti sono accorsi a noi, tutti ne furono soddisfatti; noi continuiamo nella via seguita fin quì, persuasi essere l’unica via possibile e fruttuosa nel nostro Trentino il quale ha bisogno di unione e non di discordia; di lavoro assiduo che aumenti le poche forze che possede, e non le diminuisca; di azione caritatevole che colleghi in uno tutti i ceti di persone, non di zelo intemperante che disperda e divida a tutto beneficio di avversari che vivono a spalle nostre già da tempo col motto – divide et impera.

Capitolo IV

Prima di lasciarci

E’ sempre dolorosa la divisione, il distacco, l’abbandono di cuori che si vollero bene, che sinceramente s’amarono. Possono quindi immaginarsi i lettori, se è cosa amara anche per Don Mentore staccarsi per sempre dai lettori dell’Almanacco! Ma lo credereste? Anche nel distacco c’è alle volte delle gioie che se non superano il dolore, almeno lo diminuiscono assai. E qual’è la gioia che diminuisce il cordoglio a Don Mentore nell’abbandonare i suoi amici? Eccola, così. Non vi dico addio, ma arrivederci! Sì, la fede in cui siamo nati e vissuti ci addita, che la presente vita è e deve essere una preparazione alla vita avvenire, alla vita beata in paradiso. Noi tutti, e lo so, abbiamo consumati questi pochi giorni terreni per meritarci gli eterni. Ed è veramente questa persuasione che mi porta via tutti i crepacuori nel distaccarmi da voi. Dunque non addio, ma colla madre del Manzoni, arrivederci in cielo! Propriamente così. Vi ho sempre detto e ripetutamente inculcato che se noi ci siamo messi su questa nuova via del moderno progresso, la cooperazione rurale, l’abbiamo fatto per solo amor del prossimo, chiedendo a Dio il favore di sacrificarci in pro de’ fratelli, sperando in compenso da Lui il perdono di nostre colpe piccole e grandi, fidati sul noto detto: Charitas operit multitudinem peccatorum, e di conseguenza dopo il lavoro cooperativo avessimo in premio nientemeno che il paradiso. Fu questa speranza anzi che ci sostenne fin quì ad onta delle contraddizioni e delle difficoltà patite da chi meno s’aspettava, è questa che ci consola in questo momento di staccarci momentaneamente da voi.

Ma sappiatelo, amici dilettissimi, non dico l’arrivederci solo a pochi e privilegiati, lo dico a tutti i miei bravi cooperatori, a tutti nessuno eccettuato. E’ possibile tutto ciò? Possibilissimo ed eccone il come. Non dubito che voi tutti ricorderete i precetti, le norme più volte inculcatevi, sia in occasione di assemblee sociali, sia di corsi teoretici pratici per l’amministrazione e contabilità delle nostre casse e famiglie cooperative, sia di conferenze od altro, secondo le quali noi, credenti in Dio giustissimo giudice e retributore, non dovevamo solamente attendere affinché le nostre registrazioni camminassero in regola per darla ad intendere agli uomini di quaggiù, ma anzitutto affinché quello che scrivevano sui libri, fosse prima passato pel crogiuolo della nostra coscienza, e resistere al controllo che delle nostre opere avrebbe fatto, non un revisore della Federazione, ma il revisore generale (scusate la parola) delle opere umane, Iddio justus Judex! Quante volte, io diceva, che errare humanum est, e quindi che nelle molteplici operazioni delle nostre società potrà benissimo darsi il caso di qualche errore o sbaglio, facile a succedere anche agli uomini più scrupolosi, ma vi avvisava che ciò debba accadere solo per umana fragilità e non per umana malizia; anzi vi diceva che dalle nostre Direzioni, dai nostri contabili, dai nostri magazzinieri ecc. doveva star lungi in proposito perfino il solo sospetto di malizia od inganno. Fu per questo che sapendovi tutti d’una medesima fede e tutti d’una medesima religione, o come si usa dirlo oggidì, cristiani-cattolici, vi diceva che non solo i soci, ma anzitutto le Direzioni, le commissioni di sorveglianza, i contabili ed i magazzinieri fossero galantuomini a prova di bomba, non di un galantomenismo qualunque, ma di quel galantomenismo che nelle partite del dare ed avere sa, conosce, e vuole esattamente mettere alla pratica il 7° comandamento del Decalogo.

Ora io sono sicurissimo che tutti i nostri cooperatori sieno galantuomini a questa stregua; io sto fidente che nissuno avrà voluto o vorrà aggravare la propria coscienza nell’amministrare sostanze altrui, mentre invece tutti, dopo aver sacrificato in favore della società, e perciò del prossimo, ingegno, tempo e forse denari propri, avranno adempiuto fedelmente il secondo precetto della carità: Amerai il prossimo tuo come te stesso per amore di Dio. Ebbene, è appunto per questo che mi aspetto per tutti noi un premio, non già, tenetelo a mente, in questo povero mondo, il quale non conosce di questi meriti e di questi sacrificii, ma nella vita avvenire e solamente da Domine Iddio giustissimo retributore per ogni ben fatto. Egli è per questo che ripeto arrivederci lassù, dove son sicuro si troveranno tutti i buoni cooperatori di questo tempo. Coraggio adunque e battiamo imperterriti la via giusta già segnataci, operiamo, anzi sacrifichiamoci per amore de’ fratelli; si è a questa prova che verremo giudicati.

Non perdiamoci in questioni teoretiche di nomi o persone, non vogliamo vantarci di titoli o di qualifiche, che non sta a noi l’imporre o dare; ego esurivi, ci griderà Gesù Cristo, sono i fatti, sono le opere che pesano sulla divina bilancia, e si è per le nostre opere che noi speriamo colla grazia di Dio il premio eterno.

Vi potranno essere, anzi vi saranno sulla via per la quale ci siamo incamminati, triboli e spine, e magari gettatevi da chi meno si aspettavano, ma non ci scandalizziamo, né paventiamo per tutto ciò; sono miserie solite di questo basso mondo, più ancora è segno che stiamo nella giusta via, è un argomento di più di essere premiati da Dio. Non ti curar di loro ma guarda e passa troviamo scritto nella divina commedia del nostro Dante – e noi senza badare a questi botoli ringhiosi, chiunque essi sieno, passiamo oltre e cooperiamo tutti per uno ed uno per tutti al comun bene; e con ciò ho finito. Sono poche parole (e forse furono anche troppe per voi che aveste sempre buon udito) che ho voluto dirvi prima di lasciarvi. Sieno come un ultimo ricordo del povero Don Mentore il quale tanto vi amò, vi ama, e spera amarvi tutti per tutta un’ eternità in seno a Dio. Così sia.

Soggetto produttore:“Almanacco agrario pel 1898”, pp. 163-173
Data:
Pseudonimo:Don Mentore
Descrizione:L’articolo rappresenta il testamento spirituale di don Guetti. Vengono ribaditi i valori cattolici alla base della cooperazione e spiegato il ruolo degli enti cooperativi centrali: la Federazione e il Banco di San Vigilio. Il “Testamento di don Mentore” è stato pubblicato anche in “La cooperazione Trentina”, n.3, anno 1898, 10 febbraio, pp. 50-54.