L’appetito vien mangiando, dice uno strano proverbio; ed il desiderio di leggere viene leggendo, lo dico io per prova. Ecco qui: l’anno scorso in fretta fretta misi insieme due parole alla buona pei miei buoni amici contadini, ed ecco che, volere o volare, anche quest’anno se ne desiderano altre e molte.

Tutto va bene, miei cari, ma con tante brighe che m’attorniano, arriverò poi a contentarvi questa volta? Ne dubito molto, non per parte vostra che vi conosco di facile contentatura e buoni, buoni assai, ma per parte mia; mentre conosco il detto, che coll’attendere alle molte cose, non ci si riesce a nissuna. Checchè ne sia, se finirò poi per annoiarvi, lo sapete già in antecedenza, nol faccio apposta; e questo basti per esordio. Veniamo subito ad

Un’ buon augurio.

Vel dissi già l’anno scorso che un po’ di quella viva fede de’ nostri nonni bastava a tirare le benedizioni celesti sulle nostre fatiche. Ebbene, godo nel constatarlo, moltissimi di voi avete inteso ottimamente l’ammonimento. lo vidi messo alla pratica con mia gran consolazione e con vostro non piccolo vantaggio. Non dimenticaste durante l’anno le preci quotidiane, v’asteneste dalle imprecazioni e dalle bestemmie, santificaste con franco esempio i giorni festivi, fuggiste le crapule e l’intemperanza, ed ora vi chiamate contenti. Il buon Dio ci mandò un anno che in complesso possiamo chiamar buono, si da desiderarne altri simili. Il raccolto de’ bozzoli ed il loro prezzo furono soddisfacentissimi; il frumento superò ovunque le sei sementi, il grano turco ci portò bellissime panocchie; le patate divennero grosse e saporite, in ispecie quelle forestiere ed irrorate, la vendemmia fu d’un terzo più dell’anno scorso, l’erba de’ prati poi fu tale in abbondanza, che il fieno vecchio in certi luoghi si vendette ad un soldo ed un quarto il chilo; il prezzo poi dei bovini è tuttora cosi rimuneratore, che ovunque da noi si pensa sul serio all’aumento di giovani allievi per compensare ai numerosi bovini usciti dal paese nelle passate fiere autunnali. Vedete dunque che Domine Iddio ci diede un generoso contraccambio di quel po’ di bene che abbiamo fatto durante l’anno e v’assicuro ch’è disposto a continuare le sue celesti benedizioni, se noi pure saremo costanti nella buona vita di sinceri cristiani. Tante volte diamo colpa pelle annate cattive a questo od a quello, mentre è tutta colpa nostra, cioè della condotta della nostra vita. Togliamo questa causa fatale e ne scompariranno i tristi effetti. Lasciate che dicano i sapientoni del mondo, voi state fermi a quella sentenza dei nostri nonni che suonava in chiaro italiano cosi: 

Vita buona anno buono, 

Vita cattiva anno cattivo.

Chiesa e Patria.

So che queste mie parole sono scritte solamente per voi, miei buoni amici agricoltori, i quali siete trentini e cristiani cattolici, e che di queste due belle qualità ve ne vantate a tutta ragione. Ebbene lasciate che ora vi dica col cuore in mano al mio solito, quali doveri importantissimi ne vengano a voi da questi due titoli: Cattolici, Trentini.

Dal momento che noi fino dalla nascita ricevemmo fortunatamente il santo battesimo, ne ebbimo il dono della fede e fummo ascritti nel numero de’ fedeli cristiani coll’obbligo rigoroso di credere a quello che la Chiesa insegna. Solo in premio di questa credenza ci fu promessa la vita eterna, mentre chi non crede resterà condannato. Ora opera prima della fede si è quella di essere figlio ubbidiente e docile alla Chiesa, che ci divenne madre; entrando pel battesimo nel regno della Chiesa, da sudditi fedeli ci tocca adempirne le leggi sapientissime. Queste leggi vengono promulgate per ordine di Gesù Cristo dal suo Vicario in terra, il Sommo Pontefice. Il Papa adunque è il capo di questo Regno, e tutti i sudditi cristiani cattolici devono sottostare e ubbidire rigorosamente ai di Lui comandi. Questi comandi poi, notatelo bene, sono sempre giusti, providi e degni di pronta ed intiera ubbidienza, e ciò perché sulla bocca del Papa suona sempre la parola di Gesù Cristo, Sapienza Infinita, Infallibile.

Come semplici uomini ci deve stare a cuore questa terra trentina che ci vide nascere; è naturalissimo che amiamo di tenace affetto questa culla, che la difendiamo a tutto ardore; la famiglia nostra, il nostro Comune, la nostra valle, la Provincia, la Patria insomma ci devono essere cari assai sì da darne se occorre per loro il sangue e la vita; ma come cattolici quanto più dobbiamo sentire i doveri di amore, di sacrificio e difesa verso la Chiesa, altra patria, più importante della prima, perché non il corpo solo, ma l’ anima ci procura di salvare.

Cara, lo dice il Papa stesso, ci deve essere la Patria in cui nascemmo come uomini, ma più cara ancora la Chiesa in cui nascemmo cristiani. È chiaro da ciò quale delle due patrie dobbiamo preferire. Se avessimo per patria il suolo più fecondo e ridente del mondo, e non avessimo poi quella d’essere cristiani, che cosa in fine ci gioverebbe? Passeressimo brevi giorni su questa terra, e vi concedo, con tutte le comodità corporali che potete magari immaginare, e poi? Alla morte avressimo un dolore straziante nell’abbandonar tutto colla sicurezza di andare a patire per tutta l’eternità. Invece la patria nostra sia pure una semplice zolla alpestre, sia pure un monte brullo, un annerito covile, ma se noi siamo anche cristiani e quindi figli di questa seconda patria, la Chiesa, che cosa ne avverrà? Passeremo bensì dei giorni nel sudore, nel travaglio, e perfino nella fame, ma per breve tempo, perché da qui passeremo nella Patria Celeste ove il gaudio è senza fine.

Ecco dunque chiara l’importanza di tenerci ben stretti all’amore di questa Chiesa, a questo il più importante de’ regni in terra, il quale solo ci può rilasciare il passaporto pel Paradiso. E notate ancora. Quando si dice che dobbiamo a preferenza amare la Chiesa sopra la patria terrena, non ci si dice mica che noi cattolici dobbiamo essere senza amore per quest’ultima. Non già. Non ci è proibito niente affatto l’ amore alla patria terra, anzi ci è comandato dalla legge naturale, che viene essa pure da Dio; dunque Iddio stesso vuole che amiamo anche questa patria terrestre, vuole che amiamo la famiglia nostra, il nostro paese, i nostri nazionali, ma vuole che questo amore sia retto, ordinato, giusto. Abbiamo quindi due comandi che vengono dal medesimo Iddio: di amare la Chiesa e di amare la patria. Egli non può comandarci nello stesso tempo due cose che implicano contraddizione; quindi questi due amori non possono mai cozzare tra di loro, se essi sono bene ordinati come egli prescrive. 

La storia ci porta degli esempi memorandi di cristiani d’ogni tempo, i quali dimostrarono come questi due amori tra se uniti fecero sempre bella prova. Dalla Legione Tebea, dai Vincitori di Lepanto, dai Liberatori di Vienna ai valorosi della Lega Lombarda, la storia sta là ad attestarlo. Solo quella bandiera che porta scritto Chiesa e Patria, conduce sotto di sè alla battaglia schiere di eroi e di martiri! Una Rosa da Viterbo, una Giovanna d’Arco, un Sobiescki, un Pietro Mica sono esempi che ci fanno palpitare al solo ricordo di che cosa sa fare la fede cattolica anche per la patria terrena. Siamo dunque veri e franchi cristiani cattolici e saremo ancora sudditi fedeli e coraggiosi difensori della patria. Un nostro poeta cantò: Chi per la patria muore, Ha vissuto assai, ed io conchiudo dicendo:

Chi per la Chiesa vive

Mai non morirà.

Luigino l’emigrante.

Nato da buona famiglia di contadini nell’ameno paesello di *…. Luigino cresceva ben educato ed istruito nella religione cattolica e nei principali rudimenti di vivere agricolo. Primogenito di numerosa prole dovette per tempo darsi più degli altri ai lavori campestri in aiuto al padre sempre attivo; ma con tutto il lavorio di quelle quattro braccia robuste non si arrivava a mettere assieme a sufficienza il vitto ed il vestito per la famiglia, e qualche debituccio addolorava sempre il S. Silvestro. Passata la coscrizione senza esser fatto, provvidenzialmente, nè soldato nè bersagliere, Luigino un dì sorprende il padre soletto, e con una serietà maggiore dei ventitre anni, così gli parla: “Papà, vi devo comunicare un mio divisamento. S’io resto qui a casa, dopo tanti sudori e fatiche alla fin d’anno non arriviamo mai a far patta; le gabelle crescono, la famiglia aumenta, i mezzi di guadagnare invece diminuiscono. Ho quindi pensato di andare in America!… Mi ha scritto il cugino Pierino, che la via in un anno si può mettere assieme quello che qui non si avrebbe in tre anni, sicché io solo potrei spedire annualmente il necessario pella vita della nostra famiglia. C’è lo zio Antonio che mi darebbe il denaro a prestito pel viaggio; dunque io vado. Voi ditelo alla mamma e persuadetela a lasciarmi andare senza che prenda troppa passione, vedrete che sarò la fortuna della nostra povera famiglia”.

Il padre, a tale annunzio improvviso, si fece serio e melanconico assai e per poco non rispose parola. Indi alzando il capo e fissando lo sguardo nel figlio, cosi ebbe a dirgli: “Caro Luigi, godo, è vero, nell’udire sentimenti sì nobili e buoni verso i tuoi cari, vedo che per loro saresti disposto a fare i più duri sacrifici e quello perfino di andare nella lontana America. Ma!.. hai tu pensato ad una cosa importantissima? Qui, verissimo, avremo stenti, debiti e magari la fame, ma alla fin fine poi qui si può mettere al sicuro l’anima! In paese abbiamo facili i mezzi di salute, basta che solo lo vogliamo, ma là via non è mica cosi. Ora se tu colà guadagnassi tutto l’oro della California e poi perdessi l’anima, che cosa ti avrebbe giovato? ed a me qual rendiconto non domanderà Iddio perché ti ho permesso un tale viaggio? Vedi; adesso non posso decidere; lasciami che pensi su ben bene e poi ti risponderò”.

Il padre di Luigino intanto procurò di avere tutte le informazioni possibili del luogo al quale era invitato suo figlio. Parlò col signor Curato, col compare segretario ed altri di proposito, in fine una domenica dopo Vespro, preso a quattr’occhi il suo Luigi,cosi gli parlò: “Chi s’aiuta, Dio l’aiuta, quando però i mezzi che adopera sono buoni ed onesti. Son persuaso che qui in patria per ora questi mezzi non gli abbiamo a sufficienza e pur troppo dobbiamo cercarli altrove. Le informazioni avute di quella parte di America ove ti attende il cugino, non sono sfavorevoli, e perciò se sei proprio deciso di andarvi, va in nome di Dio; anche la mamma te ne dà licenza, ma solo però a questo patto, che t’ingiungo di non rompere per tutto l’oro del mondo; eccolo: Prima di tutto ti accosterai a ricevere i SS. Sacramenti e la benedizione del sig. Curato e poi devi promettermi di non lasciar mai in qualunque luogo tu sia o vada i tuoi doveri di buon cristiano, sia ti trovi in acqua od in terra, e quando capisci che questi tuoi doveri non puoi adempirli di ritornar subito e senza fallo a casa tua”.

A queste parole solenni due grossi lagrimoni cascarono a Luigino, e baciando ed abbracciando il buon padre il figlio commosso soggiunse: “Papà, grazie a Dio, vi fui ubbidiente fin qui, lo sarò ancora in avvenire. Se vado in America, so che non vado per capriccio, ma per aiutare la mia famiglia; l’ anima non la voglio perdere sicuramente, e perciò quando questa pericolasse, prometto, ritornerò senz’altro”. 

Passano venti giorni ed un lunedì mattina un commovente spettacolo ci si parava innanzi nella piccola Chiesa di *… Il sig. Curato celebrava la S. Messa all’altare della Madonna, ad immagine scoperta e sei candele accese. Alla Comunione del Sacerdote si vedono accostarsi alla sacra mensa eucaristica Luigino in mezzo al papà ed alla mamma e cinque de’ suoi fratelli e sorelle. Il raccoglimento era profondo, la scena pietosa edificantissima. Finita la S. Messa il sig. Curato si volge agli astanti e con voce commossa dice queste brevi parole: «Il lasciare la patria è cosa dolorosa sempre, il lasciare poi genitori amati, fratelli e sorelle carissime stringe il cuore, ma questo dolore è raddolcito quando si parte per amor della patria, per amore dei propri cari, cioè per procurar loro un bene migliore. Luigino parte solamente per questo, e Iddio non mancherà di benedire alla sua buona intenzione. Ma v’ha di più. Luigi vuol partire da cristiano esemplare colla promessa di mantenersi e ritornare tale. Oh sì questo e tutto; Iddio e Maria ti accompagnino sempre col loro aiuto e la benedizione che a nome di Dio ti do in questo momento, serva a questo fine dei fini; e se mai in America ti fosse impossibile o difficile assai l’essere buon cristiano, o Luigi! ritorna da noi; vada tutto, ma l’anima sia salva!…” 

Trascorsero cinque anni e Luigino ritornò e ritornò buon cristiano. Egli racconta d’essere stato nella Repubblica Argentina e precisamente nella nuova città “La Plata”; che giammai perdette la S. Messa alla domenica, anzi che più volte ne fece il servente. Anche le sue pratiche di pietà, grazie a Dio ed al suo buon volere, poté osservarle, ma pur troppo, come ei racconta, tanti e tanti de’ nostri anche avendone il comodo, tralasciano colà i doveri principali di buon cristiano, e specialmente non si vergognano di lavorare alle domeniche, come fosse un giorno qualunque. 

Iddio benedisse alle fatiche di Luigino; e questi mandò più volte a’ suoi genitori del denaro per pagare i varii debitucci e pel vitto della famiglia; al suo ritorno poi portò un buon peculio per assisterli nella loro vecchiaia. Appena ritornato a casa volle far celebrare una S. Messa di ringraziamento rinnovando con tutti i suoi la scena commovente della sua partenza; caddero anche quel dì delle lagrime, ma furono lagrime di consolazione. A quei del paese che, dicevano essere tanti i nostri emigrati, ma pochi i fortunati come Luigino, il signor Curato rispose: Perché son pochi i Luigini francamente cristiani.

La cooperazione agricola.

Disse un insigne economista moderno che in ogni paese ben educato non dovrebbe mancar mai la Chiesa, la scuola e la banca cooperativa. Se da noi, grazie a Dio, ci sono le due prime e le più importanti, non così si può dire della terza; è ben vero, che in questi ultimi anni si moltiplicarono quà e là anche nel nostro Trentino le banche cooperative, ma fu solo nei maggiori centri. Questo non è ancora bastante; la cooperazione sotto una forma o sotto l’altra dovrebbe estendersi ad ogni nostro paesello o Comune e me fortunato se con queste poche linee arrivassi a farmi capire dai nostri d’altronde sempre intelligenti agricoltori.

L’unione fa la forza, è un detto che lo avete mille volte sulle labbra, voi tutti miei cari amici, ma forse non ne comprendete tutta la sua efficacia. Questa si estende a tutte le vicende della vita umana e molto più l’unione farà la forza nelle vicende della vita di voi agricoltori. Il viver soli è cosa triste in questo basso mondo. L’uomo è fatto per essere socievole. Non vedete? Quando ci isoliamo dagli altri per sistema, ci assale la malinconia: per cacciar questa fa d’uopo trovare altri cuori a noi simili, a’ quali comunicare i nostri affanni, e tosto ritorna la tranquillità, il sereno. Anche parlando materialmente l’esser soli è cosa dannosa. Più siamo in numero concordi nel procurare un bene, più riesce facile il conseguirlo. La famiglia, il Comune, i Regni e le Repubbliche nacquero per voler di Dio per soddisfare ai bisogni sociali cui siamo inclinati. 

L’uomo saggio propagò questa naturale inclinazione a tanti scopi utili, e non mancarono perfino i tristi a scimiottarne l’opera per scopi malvagi. Noi non dobbiamo intendere altro col nostro unirci in varie associazioni, che il vero progresso morale e materiale ma cristiano sempre. A scopi materiali abbiamo le associazioni e le unioni dei capitalisti, dei commercianti e d’altri, e perché materialmente ed insieme moralmente non vorremo fare progredire le unioni anche tra gli agricoltori? Pel passato in vero i poveri lavoratori della gleba furono lasciati in un cantuccio per questo lato, e non si pensò a loro che per spillarne in varie e molteplici maniere i frutti de’ loro sudori, facendo confermare la verità di quel vecchio detto: scarpa grossa paga ogni cossa. Ma ultimamente vennero delle provvide leggi colle quali si pensò anche al contadino; di qui nacquero i ConsorziiAgrarii, i Consigli Provinciali d’Agricoltura ecc.; ma ciò non basta. Fa d’ uopo che l’agricoltore stesso si muova pure da per sè, e con quella istruzione che si ebbe nelle nostre scuole, deve applicare a suo vantaggio quegli utili provvedimenti che gli addita la legge. Questa contempla tante istituzioni cooperative assai utili anche pell’agricoltore. Tra, queste noto le Banche Cooperative, le Casse di Risparmio rurali colle quali con facilità e con sicurezza si ottengono denari in strette contingenze e presso le quali possono essere messi a frutto con pari facilità e sicurezza importi che ora per ora non abbisognassero. In secondo luogo utilissime sono le Società Cooperative per provviste di generi ed attrezzi rurali e più ancora i Magazzini Cooperativi di consumo e smercio. Se tutta la scienza economica consiste in ciò di far molto con poco e con minor tempo, pel contadino la si realizza con questo: di avere i buoni generi necessari alla vita al minor prezzo possibile, e di smerciare i prodotti propri al prezzo più alto che si può.

A conseguire tutto questo raramente si arriva restando soli, assai frequentemente, per non dir sempre, quando s’ è uniti in società di cooperazione. Dunque, voi miei buoni amici, qualora vi venga il destro di poterlo fare, come lo fecero e lo fanno altri in altri luoghi, non fate gli schifiltosi a mettervi in società pel comun bene, ma anzi fatelo volentieri animati, da un solo spirito del maggior vostro bene morale e materiale e vedrete quanto è vero che 

L’unione fa la forza. 

Alle urne.

Via, non mi fate gli occhiacci pel titolo qui sopra, come se ora venissi a far della politica. Vi pare ch’io sia da tanto? Quietatevi dunque e siate buoni e pazienti da leggermi fino alla fine e vedrete anche voi, che, se qualmente la politica c’entra, ci entra come il cacio dopo pranzo. 

Voglio dirvi adunque in queste quattro linee qualche cosa delle elezioni in genere e del dovere sacrosanto che si ha di dare il proprio voto ogni qualvolta se ne ha il diritto. Noi, gente del popolo, non siamo mica più tanti cavoli, come una volta quando Berta filava, ma siamo ormai una potenza bella e buona, anzi tale potenza che merita tutto il rispetto e l’ attenzione di chi non vuol fare i conti due volte. Quindi ne consegue che anche il voto del popolo, e quello specialmente, si calcola assai e si capisce ora che quel voxpopuli, vox Dei, (latino che tutti intendete senza spiegarvelo) non è un semplice detto qualunque, ma una verità che s’impone finalmente anche ai più increduli.

Dunque non ci lasciamo scappare questa nostra potenza di mano per nostra pecoraggine, ma sappiamo usarne sempre e bene ed in tutte le circostanze che ci offrono e le leggi generali e quelle particolari. Vedete quante e varie volte siamo chiamati alle urne per deporre il nostro voto! Come soci p. e. del Consorzio Agrario distrettuale dobbiamo votare almeno ogni triennio per eleggere la Deputazione consorziale; come soci del Casello, della Cooperativa o della Banca ogni anno per nominare le rispettive Direzioni, come curaziani tante e tante volte spetta a noi nei Comizii scegliere col nostro voto il Curator d’anime; come censiti infine e cittadini del Comune e dello Stato abbiamo le elezioni comunali, provinciali e quelle del Consiglio dell’Impero.

Vedete adunque quanta estensione ha il nostro diritto, senza dirvi nulla di tante altre possibili elezioni che qua e là possono occorrere per altri titoli e diritti. Io so, e me lo avete detto più è più volte, che tutti voi volete che le cose camminino sempre diritto, e vivamente desiderate che assieme al vostro maggior bene privato, prosperi quello comune. Ebbene, persuadetevene, carissimi, questo vostro bene in particolare, e quello pubblico in generale lo si avrà sicuramente, quando voi lo volete, cioè quando voi alle pubbliche cariche eleggerete tali persone che avranno la vostra piena fiducia e che voi ritenete allo scopo le più adattate ed idonee. È inutile, vedete, lamentarsi che il tale non fa bene, non amministra meglio o che razzola male. Il rimedio a tutto sta in nostra mano; la scheda che siamo per gettare nell’urna porta sempre o la vita o la morte sia materiale che morale d’un popolo. Vedete dunque quanto importa l’elezione e la buona elezione. Veniamo a casi pratici.

Conosco alcuni paeselli de’ nostri monti, i quali hanno dei Caselli modello fiorentissimi, che danno prodotti abbondanti, ben confezionati e ricercatissimi, e tutto perché? Perché la Direzione di que’ Caseificii è composta di brava gente, di persone intelligenti ed attivissime, il fior fiore di que’ contadini. So invece di altri paesi (e lo sapete anche voi non é vero?) nei quali il latte si confeziona o peggio si rovina alla cainitica e dove il ben pubblico va a finire nella borsa di pochi furbi iscariotti, e perché? perché manca una buona direzione. Ma ditemi: la causa del bene da una parte, e del male dall’altra, qual’è in fin de’ conti? È sempre l’elezione. Nei paesi sopra lodati tutti i soci del Casello, quando si tratta di eleggere la rispettiva Direzione, corrono alle urne e votano francamente per le persone più adatte allo scopo, ed il frutto del loro voto conscienzioso è sempre una brava Direzione. Invece nei paeselli sopra biasimati, pochi sonvi che pensano al loro diritto, che s’interessano di votare e lasciano la faccenda in balia di chi sa pigliarla, e n’esce quindi una Direzione che non comoda e che non fa al pubblico bene. 

Egualmente dobbiamo dire in tutte le elezioni del mondo; ove gli aventi diritto s’interessano della cosa e tutti corrono alle urne a mettervi que’ nomi che in scienza e coscienza sanno d’essere agli altri preferiti, s’avrà sempre un suffragio accetto a tutti; ove invece vi è apatia, indolenza, e quindi non si va a votare o pochi vi vanno, si otterrà un esito che farà a calci col benessere generale. Dunque tutti e sempre ed ovunque corriamo alle elezioni, perché l’importanza è somma, perché è la vita d’un popolo civilmente, moralmente, e diciamolo pure, cattolicamente educato.

Ma… me lo prevedea; avete qualche obbiezione a farmi, non è vero? Ditela pure francamente…. – Noi, cosi alcuni opinano, non vediamo questa importanza di dare il proprio voto, perché alla fin fine è impossibile di darlo in scienza e coscienza come si dovrebbe; ci sono sempre gli ambiziosi, i dappertutto, i camorristi che volensnolens vi imbrogliano a votare a lor modo; infatti non si è liberi, e quando manca la libertà, capirà anche Lei che…. Capisco, e sarà magari come voi dite, ma ciò avverrà quando gli elettori non conoscono la bravura di saper far bene le elezioni. Sicuramente se essi vorranno stare isolati, finiranno per essere assorbiti dai farabutti, ma se tutti gli elettori galantuomini e del medesimo pensare, s’uniscono e s’intendono fra loro e già in antecedenza preparano ben nette le loro armi, credetelo pure che nel dì della battaglia faranno buoni colpi e sicuri e la vittoria sarà per loro.  

Io non sono grigio ancora del tutto, eppure vi so dire che in tanti dei nostri Comuni, in questi ultimi anni, si mandarono a spasso quei rappresentanti a vita che fecero man bassa dei beni comunali nel triste passato appunto pel voto unanime, concorde e ben combinato del popolo che venne una volta a capire l’importanza delle elezioni.

Naturalmente, se in un Comune p. e. di trecento elettori, solo pochi e divisi di sopra più corrono a gettare una scheda qualunque nell’urna, ne verrà che la rappresentanza comune sarà sempre quella di padre in figlio, come il diritto di primogenitura; ma se invece la maggioranza degli elettori di buona intenzione e di volontà tenace, con piano bene prestabilito prenderanno d’assedio la piazza fin qui intangibile, le palle che getteranno nell’urna, se anche sono di carta, saranno per se capacissime di abbattere la fortezza creduta inespugnabile; voglio dire che n’usciranno eletti sempre quelli che vuole la pubblica voce e richiede il pubblico bene. Infatti vi dico netto e tondo l’apatia in qualunque elezione mi suona morte; vita invece chiamo quella che mi dà un completo numero di votanti bene organizzati.

Ma, altri mi rispondono, ha buon dire Lei; noi abbiamo altro per la testa, invece di elezioni dobbiamo pensare alla polenta, al modo di guadagnarci un fiorino per mantenere la numerosa famiglia. Colle elezioni invece si perde una mezza giornata e più, e la economia se ne va…. Appunto, carissimi, perché so che a voi preme la polenta, perché abbisognate di molte cose per vivere; appunto per economia dovete tutti andare sempre a votare quando siete chiamati, perché una buona elezione vi porterà tutte queste cose e più ancora.

Non sapete che il vostro voto tante volte vale non già un fiorino ma le migliaia di fiorini? Se solamente una piccola società diretta da brave persone porta dei bei guadagni ai propri soci; quanti non ne arrecherà una società più in grande come sarebbe un Consorzio, un Comune, una Provincia, uno Stato? E la direzione di queste società non dipende appunto dai nostri voti? Dunque finisco. Volete la morte o la vita? La morte? Dormite allora in pace, se potete, ma non brontolate se il mondo non va a vostro modo; la vita? Non vi spaventi la parola, la ripeto: 

ALLE URNE!

Domande e Risposte. 

D. Qual’e la più bella qualità negli uomini?

R. Il coraggio del Vero e del bene. 

D. Quale vendetta si deve fare degli ingiusti calunniatori?

R. Rispondere con buoni fatti alla tristizia delle loro parole.

D. Quali libri deve leggere il contadino?

R. Il Catechismo, la Storia Sacra, Manzoni e Cantù e l’Almanacco

D. Quale il motto della nostra bandiera?

R. Chiesa e Patria.

Don Mentore

Soggetto produttore:“Almanacco agrario pel 1891”, pp. 145-157
Data:1891
Pseudonimo:Don Mentore
Descrizione:Articolo relativo a insegnamenti morali legati alla religione, alla chiesa e alla patria trentina, all’emigrazione, alla cooperazione rurale e all’importanza del voto nelle elezioni. Contiene inoltre una breve storia esemplificativa relativa all’emigrazione.