Egregio Sig. Redattore

Se le mie previsioni non si sono avverate appuntino a proposito del nostro Toni che, grazie a Dio, va migliorando ogni dì, e, come ho veduto la scorsa settimana, ha dato già contezza della sua convalescenza in codesto giornale, non credo poterai dire altrettanto dell’ardito Areonauta. Infatti egli ha navigato negli spazi aerei una volta sola, e, come vi dissi già, ebbe un tale ricordo che a mala pena può tuttavia raccapezzare le sue idee. Da principio se la credeva malattia passeggera, o, a meglio dire, indisposizione momentanea, originata da quella bufera che lo tolse repentinamente alle sue scoperte selenitiche, ma pur troppo si ebbe a constatare più tardi dall’arte salutare essere lui tocco ed alterato da vera febbre. Quindi blandi i rimedi e lunga la convalescenza.

Nel parossismo più acuto avea delle idee fisse (come è solito accadere agli ammalati) e non faceva che esclamare: “Ecco che vengono… vedi, vedi i lunatici… oh che barbe!… che occhiacci!… che furie!… mi vogliono morto ad ogni costo!… Caro Michele! Ajuto, ajuto, per carità! Mi sembrano fuori come gli abissini! Uh! perfino le donne!…”.

Riavutosi per altro alcun poco, si diede a raccontarmi per filo e per segno, non certo senza una naturale trepidazione, uno di quegli episodj, che non volle accennare nella sua narrazione, e ch’io vi trascrivo alla meno male.

Sono approdato, mi diceva egli, per accidente, prima di giungere al continente lunare, ad una specie di isola, che dovrebbe essere un satellite dell’astro notturno, e venni a sapere che quei paesi sono divisi in piccoli califfati di pochi chilometri d’estensione, sul fare de’ nostri comuni rurali. Lo interruppi subito dicendo: Abitano forse i Turchi nella Luna? – Ma egli continuò: Anche colassù, vi sono leggi severe ed ordinanze di governo assennate, ma da quegli scaltri abitatori si trova sempre il modo di eludere ogni migliore regolamento. Il califfato è ereditario ab antiquo, o meglio basato sopra tradizioni inveterate di famiglia, cui la civiltà non ha potuto derogare fin qui, come è facile avvenga in angoli reconditi e poco considerati. D’altra parte forse le apparenze legali si conservano, e questo basta!

Per la eventuale solita deficienza dell’investito del potere, queste stesse tradizioni non permettono agli amministratori di far nulla che non sia previsto ed approvato dal Califfo pretendente, il quale impone la sua volontà agli elettori, e quasi tutti devono farla liberamente, cioè secondo la volontà di Lui, che vuole e deve essere eletto. In questa bisogna, che è la più semplice, si prestano da pecoroni, e con ogni sforzo, per far piacere al principale. Infatti che sarebbe mai dei miseri subalterni se questa volontà venisse contrariata o delusa? Oh! povera gente. L’assioma che potere e volere sono una cosa sola, sarebbe subito messo alla prova, e sempre colla vittoria dell’eligendo per la ragione leonina del più forte. Ma fuori di celia. L’abbiamo detto e giustificato altra volta. Quale cosa più legittima del motu proprio? Certamente questo non deve essere un’ estorsione; ed è nei paesi poco inciviliti che si usa spingere, p.e. un principe a quelle decisioni e concessioni che egli non vorrebbe!… Colà tutto deve andare ammodo e lisciamente!

S’ebbe una volta il caso, che uno della famiglia aspirante al Califfato, s’informasse a certi principj di libertà ed uguaglianza, che avea imparati sulle panche di moderne scuole, ma tali principj furono subito assopiti saggiamente dalla solerte vigilanza dei vecchi califfi, permettendosi al giovine inesperto l’uso ed il consumo di tali utopie a solo beneficio della casta dominante, e niente più in là. Quindi furono di moda e risuonarono dapertutto in quel paese le belle parole eguaglianza e libertà, basate però sulla costituzione mercuriana, per significare: pareggio di debito e possibilità di contrarne di nuovi, sempre colla dovuta garanzia, almeno pupillare, ma restando fermi i principj vecchi del vecchio governo. – Il bravo Areonauta voleva più dire, ma assalito da forte tosse, quasi ne soffocava; ne ebbi compassione e lo salutai in fretta, promettendogli di visitarlo di nuovo al più presto, per sapere se avesse dimenticato qualche cosa che potesse giovare alla pubblicità. E qui vi prego di scusarmi se faccio punto, perché, come potete imaginarvi, relata refero, e non saprei dirvi un acca del mio, trattandosi specialmente di paesi lunatici, dove non sono mai stato. Credetemi vostro affezionatissimo

Michele

Soggetto produttore:“La Voce Cattolica”, n. 51
Data:05/05/1887
Pseudonimo:Michele
Descrizione:Articolo in cui continua il gioco letterario legato agli pseudonimi (in questo caso quelli di Michele, Toni e Areonauta). Nella seconda parte con una “storia sublunare” vengono criticate le amministrazioni dei comuni rurali e le modalità delle elezioni.